mercoledì 26 ottobre 2011
mercoledì 5 ottobre 2011
8 bambini che hanno provato a cambiare il mondo
1. Caitlyn Larsen
Caitlyn è un bambina di 10 anni di Orogrande, New Mexico. Un giorno, guardando fuori dalla finestra della sua cameretta, si è accorta che sul fianco di una montagna vicina si stava aprendo uno strano buco. Indagando, Caytlin ha scoperto che si trattava di una nuova cava mineraria. A questo punto, la ragazzina ha preso carta e penna e ha scritto ai giornali, per raccontare come quei lavori di scavo stessero devastando il paesaggio intorno alla sua città. La lettera non è passata inosservata ed è finita sulla scrivania del direttore della New Mexico Mining and Mineral Division, che ha convinto la società a bloccare le perforazioni: la montagna di Caitlyn è salva!
2. Birke Baehr
A soli 11 anni Birke ha le idee molto chiare in tema di alimentazione: è infatti un convinto paladino del biologico ed è diventato protagonista di incontri nelle scuole americane, per raccontare la propria esperienza e sensibilizzare i coetanei, invitandoli a riflettere sul valore nutrizionale di ciò che mangiano, sugli OGM e sull’uso di pesticidi e di altre sostanze nocive nelle coltivazioni.
3. Olivia Bouler
Ricordate il disastro della Deepwater Horizon, che lo scorso anno ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero? Di fronte a tanta devastazione ambientale, l’undicenne Olivia ha deciso di darsi da fare in prima persona, collaborando con la National Audubon Society per vendere i disegni degli esemplari di uccelli più colpiti dalla marea nera. La vendita ha fruttato oltre 200.000 dollari, che sono stati devoluti ad azioni di ripristino degli ecosistemi del Golfo. In occasione del primo anniversario dell’incidente, Olivia ha anche pubblicato un libro, perché quanto accaduto non venga dimenticato ma rappresenti un monito per il futuro.
4. Cole Rasenberger
A 8 anni Cole si è impegnato attivamente per salvare le foreste della sua regione, nel North Carolina, coinvolgendo numerosi coetanei della propria scuola. La sua iniziativa è stata di una semplicità estrema: i bambini hanno inviato delle cartoline firmate alle catene di fast food per chiedere loro di passare a packaging riciclati e sostenibili. La mobilitazione ha centrato un obiettivo importante, ottenendo risposte ed impegni da un colosso del settore, McDonald’s. Successivamente, gli sforzi di Cole si sono concentrati su una seconda catena, la KFC: l’azienda ha ricevuto direttamente dalle mani del bambino ben 6.000 cartoline, grazie al coinvolgimento degli allievi di altre scuole elementari della zona, ma al momento non ha offerto riscontri positivi. L’importante, però, è non mollare!
5. Mason Perez
A 9 anni Mason ha fatto una constatazione di una semplicità disarmante: si è reso conto che il getto d’acqua che scaturiva dai rubinetti del bagno della scuola, del campo di baseball, dei negozi e delle case della sua città era inutilmente forte. Per questo, ha scritto al sindaco chiedendogli di abbassare la pressione dell’acqua nelle tubature, ottenendo un risparmio idrico calcolato tra il 6% e il 25%.
6. Ashton Stark
A 14 anni Ashton ha deciso che era ora di tagliare le emissioni di CO2 della propria famiglia: con questo obiettivo, ha preso la vecchia auto dei nonni, parcheggiata in garage a prendere polvere, e l’ha dotata di nove batterie da golf cart. Ora la vecchia auto può viaggiare ad una velocità massima di poco più di 70 km/h – non molto, ma sufficiente per spostarsi in città – senza emettere anidride carbonica.
7. Severn Suzuki
Nel 1992, a soli 12 anni, Severn promosse una raccolta fondi con la Environmental Children's Organization (ECO), un gruppo di bambini ecologisti da lei fondato 3 anni prima, per poter prendere parte al Vertice della Terra delle Nazioni Unite, a Rio de Janeiro. Qui, in soli sei minuti e con parole semplici, schiette ed efficaci, Severn espresse il punto di vista di una bambina sui maggiori problemi ecologici, zittendo (momentaneamente…) i potenti del mondo. Oggi, a 30 anni, Severn continua nel suo impegno a favore della tutela dell’ambiente, collaborando con The Skyfish Project.
8. Felix Finkbeiner
A 9 anni, dopo una lezione della sua maestra sulla fotosintesi clorofilliana, Felix decise di piantare un piccolo albero sul davanzale della finestra della sua classe, per poi esclamare, con quell’entusiasmo genuino tipico dei più piccoli, “Pianterò un milione di alberi in Germania”. Oggi Felix ha 13 anni e, al motto Stop talking! Start planting!, ha superato il suo obiettivo: ha infatti piantato il milionesimo albero il 4 maggio 2011. Alla cerimonia erano presenti rappresentanti politici e Ministri dell'Ambiente di ben 45 nazioni.
Piccoli grandi uomini da cui i "veri" grandi dovrebbero prendere esempio.
di Lisa Vagnozzi
giovedì 15 settembre 2011
Living Infrastructure
Photo: Daily Mail |
Forest Pavilion
martedì 2 agosto 2011
La casa ibrida: low cost ed ecologica
lunedì 1 agosto 2011
Park Güell
giovedì 30 giugno 2011
Un tetto in ‘torsione' per un abitare sostenibile
venerdì 24 giugno 2011
Il prossimo landmark di Giakarta
giovedì 23 giugno 2011
HIGH LINE, SECTION TWO
venerdì 18 marzo 2011
La torre di origami
La sorprendente O-14 tower a Dubai è in fase di completamento. Progettata da Jesse Resiser e Nanoko Umemoto di RUR Architecture (gli stessi architetti che hanno progettato il New Museum di New York), l'edificio presenta una facciata eye-catching, che oltre a colpire l'occhio contiene il guadagno di calore solare, e grazie a un sofisticato sistema di raffreddamento passivo, riduce il consumo energetico.
Simile ad una scultura più che a un edificio, la torre commerciale ha un nucleo centrale di spazi per uffici. La facciata decorativa ha più di 1000 "ritagli" circolari e funziona come un "esoscheletro". Questa struttura esterna in cemento armato supporta il nucleo, e quindi permette agli spazi interni di essere notevolmente aperti. Gli spazi per gli uffici sono praticamente privi di colonne, in grado di essere divisi e suddivisi nel modo in cui necessitano gli inquilini.
Tra l'esoscheletro e il nucleo centrale corre precisamente un metro lineare di spazio, che agisce anche come scivolo di aria calda. Anche se una grande metropoli, Dubai rimani pur sempre essenzialmente una città desertica. Per cui l'esoscheletro non solo protegge il nucleo centrale dell'edificio dal sole, ma la sua stessa forma trasporta l'aria calda verso l'alto e quindi all'esterno, cosa che fa risparmiare denaro ed energia per il raffreddamento del nucleo. I "ritagli" circolari sono accuratamente posizionati per creare le giuste viste dall'interno limitando l'esposizione al sole.
La torre di "soli" 21 piani ospiterà esclusivamente uffici, mentre il piano terra avrà un esclusivo centro commerciale di lusso, in puro stile Dubai, e un ingresso alla passeggiata del lungomare.
Fonte: Tecnici.it
giovedì 17 febbraio 2011
Passivhaus For Beginners
Posted on May 27 by Martin Holladay, GBA Advisor
An energy-efficient house without solar equipment. Designed by architect Christoph Schulte, this superinsulated home was the first Passivhaus building in Bremen, Germany.
More and more designers of high-performance homes are buzzing about a superinsulation standard developed in Germany, the Passivhaus standard. The standard has been promoted for over a decade by the Passivhaus Institut, a private research and consulting center in Darmstadt, Germany.
The institute was founded in 1996 by a German physicist, Dr. Wolfgang Feist. Feist drew his inspiration from groundbreaking superinsulated houses built in Canada and the U.S., including the Lo-Cal house developed by researchers at the University of Illinois in 1976, the Saskatchewan Conservation House completed in 1977, and the Gene Leger house built in 1977 in Pepperell, Massachusetts. Aiming to refine North American design principles for use in Europe, Feist built his first Passivhaus prototype in 1990-1991.
Feist later obtained funding for a major Passivhaus research project called CEPHEUS (Cost-Efficient Passive Houses as European Standards). Conducted from 1997 to 2002, the CEPHEUS project sent researchers to gather data on 221 superinsulated housing units at 14 locations in five countries (Austria, France, Germany, Sweden, and Switzerland).
The Standard Sets a Strict BarThe Passivhaus standard is a residential construction standard requiring very low levels of air leakage, very high levels of insulation, and windows with a very low U-factor. To meet the standard, a house needs an infiltration rate no greater than 0.60 AC/H @ 50 Pascals, a maximum annual heating energy use of 15 kWh per square meter (4,755 Btu per square foot), a maximum annual cooling energy use of 15 kWh per square meter (1.39 kWh per square foot), and maximum source energy use for all purposes of 120 kWh per square meter (11.1 kWh per square foot). The standard recommends, but does not require, a maximum design heating load of 10 watts per square meter and windows with a maximum U-factor of 0.14.
The Passivhaus airtightness standard of 0.6 AC/H @ 50 Pa is particularly strict. It makes the Canadian R-2000 standard (1.5 AC/H @ 50 Pa) look lax by comparison.
Unlike most U.S. standards for energy-efficient homes, the Passivhaus standard governs not just heating and cooling energy, but overall building energy use, including baseload electricity use and energy used for domestic hot water.
Thick Walls, Thick Roofs, and Triple-Glazed WindowsMost European Passivhaus buildings have wall and roof R-values ranging from 38 to 60. Wood-framed buildings usually have 16-inch-thick double-stud walls or walls framed with deep vertical I-joists. Masonry buildings are usually insulated with at least 10 inches of exterior rigid foam. To meet the Passivhaus window standard, manufacturers in Germany, Austria, and Sweden produce windows with foam-insulated frames and argon-filled triple-glazing with two low-e coatings.
Although the Passivhaus Institut recommends that window area and orientation be optimized for passive solar gain, the institute’s engineers have concluded, based on computer modeling and field monitoring, that passive solar details are far less important than airtightness and insulation R-value.
In the U.S. and Canada, the phrase “passive solar house” was used in the 1970s to describe houses with extra thermal mass and extensive south-facing glazing. Because of the possibility of confusing Passivhaus buildings with passive solar houses, most English-language sources use the German spelling of “Passivhaus” to reduce misunderstandings.
Gotta Have An HRVFeist recommends that every Passivhaus building be equipped with a heat-recovery ventilator (HRV). Since the space heating load of a Passivhaus building is quite low, it can usually be met by using an air-source heat pump to raise the temperature of the incoming ventilation air. In most European Passivhaus buildings, the heat pump’s evaporator coil is located in the ventilation exhaust duct, downstream from the HRV, to allow the heat pump to scavenge waste heat that might otherwise leave the building. In this way, the ventilation ductwork becomes part of a forced-air heating system with a very low airflow rate.
In Europe, most homes are heated with a boiler connected to a hydronic distribution system. Since residential forced-air heating systems are almost unknown in Europe, many Passivhaus advocates declare that their houses “have no need for a conventional heating system” — a statement that reflects the European view that forced-air heat distribution systems are “unconventional.”
Passivhaus Comes Back to the U.S.The first building in the U.S. that aimed to meet Passivhaus standards was a private residence built by architect Katrin Klingenberg in Urbana, Illinois, in 2003. The home included an R-56 foundation with 14 inches of sub-slab EPS insulation, R-60 walls, and an R-60 roof. Klingenberg specified triple-glazed Thermotech windows with foam-filled fiberglass frames.
Klingenberg later founded a nonprofit organization, the Ecological Construction Laboratory (E-co Lab), to promote the construction of energy-efficient homes for low-income and middle-income families. In October 2006, the E-co Lab completed Urbana’s second Passivhaus building: a 1,300-square-foot home that resembled Klingenberg’s home in many ways.
As Klingenberg devoted more and more time to promoting Passivhaus buildings in North America, she decided to found the Passive House Institute US — basically, a North American outpost of the Darmstadt institute — in Urbana.
Although Klingenberg’s first and second Urbana homes were built to the Passivhaus standard, she didn’t bother to have the homes certified and registered. The first U.S. building to achieve that goal was the Waldsee BioHaus, a language institute completed in Minnesota in 2006. That building includes an R-55 foundation with 16 inches of EPS foam under the concrete slab, R-70 walls, and an R-100 roof. The building’s triple-glazed windows were imported (at a high cost) from Germany.
How Do I Learn More?An easy way to learn more about the Passivhaus standard is to visit the bulletin board and Web forum hosted by the Passive House Institute US.
In the United Kingdom, the Building Research Establishment has produced an excellent English-language primer on the Passivhaus standard.
A GBA blogger, Rob Moody, is sharing details of his ongoing Passivhaus project in a series of blog postings.
Builders and designers interested in learning more about the Passivhaus standard may want to invest $225 in a Passivhaus software program, the Passive House Planning Package. Available from the Passive House Institute US, the software is a spreadsheet-based tool that models a building’s energy performance to help designers fine-tune the specifications of a building aiming to achieve the Passivhaus standard.
venerdì 4 febbraio 2011
Green street art
Qualcuno ha il dovere di riavvicinare l'uomo alla natura. Qualcuno sente di farlo tramite l'arte. Qualcuno, come Edina Tokodi, di origine ungherese ma residente a New York City ormai da diversi anni, ha deciso di ergerlo a stile di vita e costante del suo lavoro. Così diffonde le sue opere: dagli spazi pubblici agli spazi privati, in tutto il mondo. Tra questi la Brick Lane Gallery di Londra e la Lana Santorelli Gallery di New York; ma ha lavorato anche per la SEPTA (Southeastern Pennsylvania Transportation Authority) di Philadelphia, il Billboard, una mostra di scultura pubblica a Budapest e una mostra personale presso la galleria (Le) Poisson Rouge. E le sue opere sono riconoscibilissime. E' street art, ma non solo: è green street art. Niente bombolette tossiche, niente danni all'ambiente, anzi. Impossibile avere qualcosa da ridire sui suoi "murales". Edina Tokodi infatti, in arte Mosstika, ha scelto di utilizzare solo materiali naturali. Le prime opere erano realizzate con delle piante che coltivava da sola e che utilizzava per creare i suoi cosiddetti “giardini verticali”, grazie all’aiuto di sua madre e di un amico giardiniere. Successivamente ha iniziato a utilizzare il muschio (da qui il suo nome, “moss” che sta per muschio e “tika” che dovrebbe indicare la parola politica, quindi “politica del muschio”) e realizzare degli stencil che hanno come soggetto quasi sempre animali o figure umane. Il muschio viene raccolto dai tronchi degli alberi e dalle pietre che trova nei pressi di casa sua, sempre senza esagerare. Successivamente crea una poltiglia fatta di siero di latte, zucchero e muschio di cui ha trovato la ricetta su internet e alla quale sta lavorando per apportare dei perfezionamenti. Queste opere si adattano all’ambiente e non pretendono di essere indelebili, Un artista che fa della sua arte un messaggio e del suo lavoro una missione. Una che crede nella forza dell'arte, capace di smuovere la gente. E perché no? Di salvare il mondo. Ecco come il rischio ambientale si trasforma in spinta motivazionale. Senza allarmismi. Con proposte.
venerdì 21 gennaio 2011
Il bar ribaltato
Un divertente gioco illusionistico per il coffee-shop newyorkese D'Espresso, dove viene simulata una biblioteca
Da poche settimane la celebre Madison Avenue di Manhattan possiede un’ulteriore attrattiva. Un semplice coffee bar, peraltro di modeste dimensioni, sconvolge il visitatore.
Allo studio Nemaworkshop non è bastato simulare, grazie alla composizione digitale, una biblioteca densa di volumi. In omaggio alla vicina Bryant Park, hanno voluto dare all’ambiente un tono un po’ intellettualistico (e molto ironico) al primo della una catena dei punti-vendita D’Espresso che gradualmente pervaderanno gli Stati Uniti.
Gli autori, infatti, hanno aggiunto una provocazione ulteriore: una rotazione del parallelepipedo di 90°. La foto che apre questo servizio sulla home page ci indica che il pavimento, rivestito in parquet, è diventato parete. E che due dei quattro lati della stanza “originaria” sono diventati rispettivamente soffitto e pavimento.
Il cliente si immerge in una divertente distorsione visiva, riportata alla “normalità” solo dal bancone bianco.
Noi sottolineiamo che, nella globalizzazione del contenuto-bevanda, è il contenitore-design a fare la differenza.
Fonte: Mixdesign.it